Sintesi del libro di Andrea Mazzoni
Storia dei pompieri di Firenze (secoli XIV-XXI)
La storia del servizio antincendio a Firenze affonda le proprie radici in età medievale quando, per dare risposta ai frequenti roghi che scoppiavano in città, fra il 1316 e il 1344 si dette vita, via via in forma sempre più strutturata, all’Ufficio e alla Guardia del fuoco.
Firenze conobbe grandi incendi rimasti nella memoria dei cronisti dell’epoca, come il Villani, che raccontarono i disastrosi effetti di questi eventi distruttori. Fu così che si pensò di formare un corpo di addetti allo spegnimento delle fiamme organizzandolo secondo la tradizionale suddivisione della città in quattro Quartieri e affidandosi a varie tipologie di mastri artigiani come trombai, falegnami, maestri d’ascia, muratori, ecc., cioè a professionisti nei mestieri che potevano – per l’epoca – apportare le migliori competenze tecniche nella difficile opera di spegnimento degli incendi o almeno di loro freno e contenimento. Così la Guardia del fuoco nacque strutturandosi in quattro squadre di dieci uomini ciascuna – guidate dai cosiddetti capodieci – dislocate in altrettanti fondi distribuiti in città, con relativi depositi per gli attrezzi (secchi, mastelli, fistole, asce, scale, coperte, ecc.). I componenti della Guardia del fuoco indossavano una sopraveste di cuoio con impressi una mannaia sul davanti e il simbolo del quartiere di appartenenza sul dietro. Oltre alle Guardie propriamente dette, le squadre comprendevano anche dei “porti”, cioè dei manovali e dei “lanternari”, addetti a illuminare di notte l’accorrere sui luoghi d’intervento con fiaccole e torce
Col passare del tempo la Guardia del fuoco conobbe una sempre più definita regolamentazione e in particolare, durante la fase riformatrice lorenese, sotto il granduca Pietro Leopoldo, furono emanate – con lo strumento del Motu proprio del sovrano – varie normative finalizzate a rendere più efficace il servizio di prevenzione ed estinzione degli incendi.
Momento decisivo nella lunga vicenda dei vigili del fuoco fiorentini fu il 1809 allorquando, durante il periodo napoleonico, si costituì la Compagnia dei pompieri, secondo il modello importato dalla Francia (che peraltro rimase sostanzialmente in vigore anche dopo la restaurazione dell’antico casato regnante avvenuta a seguito del Congresso di Vienna). Sempre in quell’anno si ebbe lo spostamento dell’arsenale dal Palazzo della Ruota dei Giudici, sul Lungarno ai locali prospicienti la piazza di San Biagio.
E’ in questa fase della prima parte dell’ Ottocento che la Compagnia dei pompieri vede via via, quasi anno dopo anno, accrescere i suoi compiti di istituto in vari settori della vita cittadina, giungendo a svolgere in sostanza una vera e propria attività di polizia e guardiania municipale attuata in primo luogo attraverso un servizio di ronda e perlustrazione sia diurna che notturna (e si consideri che ormai i suoi addetti, oltre a divise in linea con quelle delle truppe – o alla francese, o alla lorenese dopo la restaurazione, o alla piemontese dopo l’Unità d’Italia – avevano anche un’arma di ordinanza in dotazione, portando a compimento così una sorta di “militarizzazione” in atto dal ‘700 e testimoniata dalle connessioni operative col Corpo di Artiglieria e col picchetto del fuoco presente nel più importante acquartieramento cittadino di truppe, cioè la Fortezza da Basso). Ronde che peraltro non solo non davano gratificazioni, ma pregiudicavano per molti l’espletamento delle proprie mansioni lavorative artigiane, libero professionali, alimentando il fenomeno dei frequenti rimpiazzi.
L’attività di guardiania comportava ovviamente un maggior grado di responsabilizzazione del Corpo – anche dal punto di vista etico e del decoro – e dei suoi singoli membri sui quali si attuava un controllo non solo professionale, ma anche “morale” da parte delle preposte autorità. Non solo per l’ammissione alla Compagnia si richiedevano, ovviamente, le informazioni di rito sul singolo individuo al commissariato di polizia del circondario in cui viveva il “postulante” (e spesso le istanze erano accompagnate da veri e propri certificati di buona condotta morale), ma anche dopo l’inserimento nei ranghi, il controllo sulla vita privata dei pompieri risultava piuttosto costante.
Visto, dunque, che ormai la Compagnia svolgeva anche una funzione di polizia, al punto da essere impegnata nella prevenzione di disordini pubblici e azioni illecite di vario tipo, non ci volle molto a pensare di poter ampliare ancor più l’attività dei pompieri oltre l’ordinarietà, attribuendo loro altre incombenze (sorveglianza alla pesa pubblica nel mercato delle carni porcine; consegna di messaggi e disposizioni per conto della municipalità; vigilanza nei giorni di festa sul buon ordine e la pubblica sicurezza al Bagno della Vagaloggia, che fu il primo bagno pubblico sull’Arno; vigilanza sul carro di San Giovanni – fino all’esaurimento dei fuochi – durante le celebrazioni del Sabato Santo; prevenzione di incendi nel caso di rappresentazioni teatrali in edifici e palazzi privati; controlli su cappe, camini, forni, depositi di materiali infiammabili; prestazione di servizio in armi per luminarie e fuochi di gioia; supplenza alle carenze di organico della guarnigione di stanza in città per servizi di guardia a Palazzo Vecchio, alle carceri, o altri luoghi di pubblica rilevanza; scorta armata – in alta uniforme – fino in Duomo alle autorità municipali durante il Corpus Domini e varie altre festività religiose; posa delle cateratte alle fogne cittadine ed alle aperture delle spallette durante le piene dell’Arno, ecc. ecc. (la Compagnia veniva spesso chiamata anche ad espletare servizi fuori delle mura, remunerati dalle casse delle comunità interessate all’intervento di soccorso).
Tra la fine del 1819 e gli inizi del 1820, il sovrano della restaurata casata granducale lorenese, Ferdinando III, emanò apposite disposizioni volte a riformare l’organico del Corpo. Con la nuova riorganizzazione il corpo risultava formato di 70 membri – dodici in meno che sotto la Mairie (municipio) napoleonica – ripartiti in tre sezioni: alla prima appartenevano il Capitano comandante, il Tenente, il Sergente, quattro caporali e 24 comuni; invece, alla seconda sezione appartenevano tre caporali e 24 comuni, mentre la terza era infine composta di dodici comuni non stipendiati e quindi gratificati essenzialmente col soprassoldo per singoli interventi in caso d’incendio. Secondo gli intendimenti del Granduca Ferdinando III, il corpo dei pompieri mantenne caratteristiche e gradi di tipo militare, così come fu ribadita la necessità di un’azione concorde tra pompieri e altre forze in armi in occasione dei vari interventi, considerato che da sempre, sin dal medioevo, gli incendi venivano considerati momenti di turbativa dell’ordine pubblico, forieri perfino di possibili rivolte o comunque di atti illegali (furti, vendette personali, ecc.).
l’Unità d’Italia, oltre a una nuova divisa più vicina a quella sabauda, portò presto nuove incombenze connesse al trasferimento della capitale a Firenze, come il già citato servizio in Palazzo Vecchio per il Parlamento nazionale, mentre nel 1866 nasceva il “Treno a cavalli dei pompieri” con sede – per uomini e animali – inizialmente in Borgo SS. Apostoli (tra i servizi espletati, oltre quelli ovviamente legati all’accorrere sui luoghi degli incendi, il trasporto dei cadaveri dall’asilo mortuario di S. Caterina al cimitero di Trespiano, il trasporto dei pegni per l’Azienda dei Presti e poi – nel tempo – il servizio di “landau” per sindaco e giunta e il trasporto alla stufa sterilizzatrice degli oggetti infetti.
Ormai, tra il 1867 e il 1872, la Compagnia toccava i 2.500-2.900 servizi annui e dava dimostrazione di competenza e abnegazione in occasione di grandi incendi come quello del 24 giugno 1863 al Politeama o quello del Tiratoio il 13 settembre 1874.
Nei vari transiti di sede, dopo qualche anno a Palazzo Ferroni in zona piazza Santa Trinita e poi a Palazzo Vecchio, gli effettivi vennero di nuovo accorpati alla caserma di S.Biagio dal 1882. Si era ormai in… “era Papini”, uno dei comandanti (ruolo ricoperto a pieno titolo dal 1884) che maggiormente segnarono la vita e la storia della Compagnia (suo peraltro il primo libro sulla storia dei pompieri fiorentini edito nel 1896).
Fra le sue prime iniziative il Papini intese rendere di pubblico dominio il consuntivo del lavoro quotidianamente svolto dal Corpo, facendo stampare un dettagliato panorama degli interventi realizzati nel corso di ogni singolo anno dai pompieri, sotto il titolo di Corpo dei pompieri. Statistica dei servizi disimpegnati dal Corpo suddetto.
Il Papini venne messo a riposo nel 1906 per un episodio che la Giunta comunale ritenne di insubordinazione (punendo il comandante come incapace di mantenere la disciplina), anche se il sospetto di molti fu che si fosse trovato il modo di mandare così un messaggio alla Compagnia per quanto successo – sempre col Papini alla guida – qualche anno prima, quando i pompieri si erano rifiutati di sostituire gli operai del gasometro del Pignone in sciopero…
Detto che i pompieri fiorentini presero parte nel 1908 all’opera di soccorso per il terremoto di Messina (portandosi dietro come mascotte quella che sarebbe poi diventata la proverbiale “capra dei pompieri”) e passata la fase bellica, il 1919 vide la compagnia impegnati nell’opera di soccorso per un altro tragico evento sismico, quello del Mugello del 29 giugno, mentre il 1920 è l’anno del nuovo Regolamento di servizio, ma soprattutto della tragica esplosione della polveriera di San Gervasio dove l’11 agosto perse la vita il vice comandante Augusto Baldesi, accorso sul luogo del disastro dopo la prima deflagrazione, mentre continuavano le esplosioni e nuove casse di munizioni venivano raggiunte dalle fiamme.
Logico che la nuova caserma di via La Farina, inaugurata nel novembre 1921, vedesse la collocazione nell’atrio di un busto in memoria del Baldesi. Da quei nuovi e più moderni locali (che mandavano in pensione la struttura di San Biagio, recuperata a edificio storico-culturale) i pompieri intervennero in quegli anni Venti – con autocarri di volata, autoscale, autopompe – in numerosi e importanti casi di incendio come quello alle Officine FS di Porta al Prato nel 1924 o al gasometro del Pignone nel 1926. Sempre da lì partirono le squadre inviate nel Vulture per il terremoto del 1930 e l’anno dopo per il colossale incendio del Corpo d’Armata nel Palazzo di S. Caterina, nei pressi di Piazza S. Marco (per il quale episodio accorsero anche pompieri di Prato, Pistoia ed Empoli).
Ormai siamo nella fase conclusiva della “età comunale”, realizzandosi fra il 1939 e il 1941 (mentre si cominciano a fare esercitazioni antiaeree e il termine “francesizzante” pompieri viene sostituito da quello più “latino” di vigili) il complesso normativo che conduce alla costituzione del Corpo Nazionale articolato per comandi provinciali (quello di Firenze prese il numero 31 con il motto “Pericula ignesque amo et domo”).
La guerra portò ingenti distruzioni sulla città e i vigili furono impegnati nella difesa antiaerea e soprattutto nell’estinzione dei numerosi incendi susseguiti ai bombardamenti che colpirono i quartieri di Firenze e varie località limitrofe. E in una Firenze devastata, fu un vigile del fuoco, dalla Torre di Arnolfo di Palazzo Vecchio, a dare col suono di campana della Martinella il segnale dell’insurrezione della città, liberatasi dai nazifascisti l’11 agosto del 1944.
Negli anni della ricostruzione e del successivo boom economico i vigili del fuoco conoscono, anche a Firenze, nuovi importanti passaggi normativi di riordino nazionale – prima con la legge 913/1950 che introduce i vigili ausiliari e poi con la legge 469/1961 – per poi vedere la nascita di numerose nuove specializzazioni (sommozzatori nel 1952, elicotteri nel 1954, rete ponti radio nel 1960, rete rilevamento radioattività nel 1966, ecc.) Nel frattempo anche i vigili del comando fiorentino partecipano alle attività di soccorso per la grande alluvione del Polesine nel 1951, per essere poi protagonisti in prima fila nei giorni dell’alluvione di Firenze del 4 novembre 1966 (e in entrambi i casi il Corpo nazionale ricevette la Medaglia d’Oro al valor civile).
In quegli anni Sessanta aveva già cominciato a brillare in città (e in Italia) la stella della squadra di pallavolo VVF Ruini Firenze che dal 1963 al 1972 vinse per ben cinque volte il titolo di campione d’Italia, “infiammando” (è il caso di dirlo…) di tifo gli spalti del Palazzato dello sport di via Benedetto Dei. E anche questi successi sportivi non fecero che aumentare il legame tra la città e i suoi “pompieri”.
Poi, in una nuova e più articolata concezione di un sistema di Protezione Civile, ecco la legge 996/1970 e per i vigili fiorentini gli interventi in occasione dei terremoti di Ancona (1972), del Friuli (1976), dell’Irpinia (1980).
Intanto, in un’ottica sempre più caratterizzata da interventi coordinati di soccorso su larga scala, i vigili fiorentini sempre più spesso partecipavano negli anni a numerose “trasferte” – più o meno lontane – dove puntualmente si segnalavano per la loro alta professionalità e abnegazione (1991 terremoto in Turchia e disastro del traghetto Moby Prince, 1996 alluvione in Versilia, 1997 terremoto umbro-marchigiano, 1999 campo profughi di Kukes in Albania, 2004 tsunami in Sri Lanka, 2009 terremoto de L’Aquila e strage alla stazione di Viareggio, 2012 naufragio della Costa Concordia e terremoto in Emilia Romagna, 2016 terremoto di Amatrice e valanga su Hotel Rigopiano, 2018 crollo del Ponte Morandi).
E non che mancassero, ovviamente i quotidiani impegni sul proprio territorio provinciale di competenza: per restare a questo nostro secolo vanno almeno ricordati gli interventi per la grande nevicata abbattutasi su Firenze e dintorni il 17 dicembre 2010, la tromba d’aria che sconvolse la città il 19 settembre 2014, il crollo del Lungarno Torrigiani il 25 maggio 2016, il terremoto nel Mugello del 9 dicembre 2019. Ma non meno rilevanti, specie per i cittadini che hanno dovuto ricorrere al soccorso dei vigili, sono stati nel corso degli anni gli innumerevoli episodi quotidiani in cui l’arrivo dei “pompieri” ha rappresentato una possibilità di salvataggio nell’ambito di eventi infausti e calamitosi, o anche semplicemente la risoluzione di situazioni di pericolo o di difficoltà. E’ così, insomma, che i Vigili del Fuoco di Firenze continuano a restare – oggi come dai tempi di Dante in qua – un punto di riferimento fondamentale per la città del giglio e per la tutela dei suoi cittadini. Con la riconoscenza dei fiorentini di ieri, di oggi e – ne siamo certi – di domani.